La birra nel Medioevo: quale birra scegliere oggi?

La birra era la bevanda più diffusa in tutte le terre dove la coltura della vite non era economicamente sostenibile. La birra era consigliata, perché più salutare dell'acqua che al tempo era spesso contaminata: la bollitura del mosto di cereali, lo sviluppo di alcol e il basso PH concorrevano a eliminare qualunque organismo nocivo e assicuravano l'eliminazione dei principali rischi. La birra, non diversamente dal vino, era apprezzata anche per i valori nutritivi, consigliata ai malati e nel periodi di magro.
    Nel primi quattro anni del corso più volte ci siamo imbattuti in ricette per aromatizzare la birra e per la birra calda, non sempre siamo riusciti a ricavarne una bevanda buona. Il problema non è stato selezionare le spezie (le indicazioni sono scarse, ma chiare) e nemmeno gestire  l'infusione (dopo qualche tentativo si riesce a trovare un equilibrio). 
   Il problema è stato trovare una birra di base giusta, perché  ci siamo accorti che il risultato finale è determinato all'80% dalla tipologia di birra. 
     Il gusto amaro della maggior parte delle birre consumate oggi non era affatto la norma nel Medioevo. Ce ne siamo resi conto anche empiricamente nei primi disastrosi tentativi di aromatizzare le birre: il luppolo fa a pugni con il miele e con la nostra miscela di spezie (miele, cannella, galanga, grani del paradiso, pepe).
    Tutte le birre sono aromatizzate; lo sono oggi, lo erano nel Medioevo e nell'Antichità. L'aromatizzazione è l'ultima fase della preparazione della birra ed è fondamentale per conferire un sapore alla bevanda.
Se riguardo alla scelta dei cereali di partenza trattare abbiamo informazioni a sufficienza (possibilmente si usava l'orzo, come oggi), per l'ultima fase, quella dell’aromatizzazione, non abbiamo ricette precise.  Si sa che nell'Alto Medioevo era diffusa una mistura di erbe chiamata “Grut” o "Gruyt", composta tra l'altro da bacche di ginepro, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, semi di cumino selvatico, anice, genziana, rosmarino, resina o aghi di pino etc... Tuttavia è ragionevole immaginare che, per questa fase, venissero utilizzate erbe locali e che quindi il gusto della birra, da un regione all'altra, potesse essere molto diverso.
   Oggi l'aromatizzante principe è il luppolo, del cui utilizzo si parla già in Ildegarda di Bingen (XI sec.); la diffusione ubiqua dell'uso di questa pianta, tanto apprezzata per le caratteristiche di amaricante e di conservante, è però posteriore alla redazione dei ricettari che usiamo per la cucina medievale.
Quali soluzioni si possono adottare per gustarsi un braggot o comunque una birra degna di essere aggettivata come medievale?

1) La soluzione più pratica ed economica (ma anche la meno divertente) è quella di scegliere una birra con aromatizzazione diversa. In Scozia e soprattutto in Belgio sono le stesse brasserie a ricreare prodotti con aromatizzanti antichi a volte vantando (o millantando) una tradizione secolare ininterrotta. Il sito beeradvocate.com segnala ben 95 birre realizzate con varie ipotesi di gruit. Noi abbiamo personalmente gradito le creazioni della Williams Bros. Brewing Co. di Alloa, in Scozia, che commercializza quattro birre storiche: per noi sono interessanti soprattutto la Fraoch, che sarebbe realizzata seguendo una ricetta gaelica del 2000 a.C., e la Alba, aromatizzata a base di aghi di pino della Caledonia. Il sito inbirrerya.com in un'approfondita recensione descrive invece le caratteristiche dell'olandese Menno & Jens, e della belga Gageleer. La prima “sfruttando una ricetta vecchia di secoli", impiega varie erbe da liquore tra cui Achillea Millefolium, Myrica Gale e la nostra Artemisia vulgaris. La seconda è una birra “del territorio”, che come quella olandese sfrutta le proprietà della Myrica gale o mirto di palude, pianta endemica delle Fiandre. Buono anche il risultato della collaborazione tra la brasserie belga Millevertues e la Boutique Amarante (un negozio specializzato nel commercio delle spezie): la curiosa birra Amarante, che nelle sua ricetta aggiunge al luppolo due tipi di pepe.
Anche vari microbirrifici italiani hanno intrapreso questo sentiero, per esempio la brasserie Birra del Borgo produce La Zia Ale "una Saison (per quel che riguarda lievito e stile di base) tutta laziale,  realizzata usando orzo di origine regionale e un particolarissimo gruyt" locale fatto di spezie aggiunte a "un mix di ortaggi e frutta secca locale a tendenza amara come cicoria, tarassaco, mandorle e puntarelle".
Sarà sicuramente poco "filologico", ma l'esperienza è senz'altro evocativa Anche l'ippocrasso ormai si trova nelle enoteche già bello e imbottigliato. 

2) La soluzione più divertente è quella di procedere per tentativi: innanzitutto scegliere una birra poco luppolata e ad alta fermentazione. Nei primi tentativi avevamo scelto birre non filtrate, ma ci siamo accorti che non è un elemento essenziale, anche perché dalle risultanze archeologiche si è capito che le birre erano ben filtrate anche 1500 anni fa (il residuo fisso recuperato in alcuni bicchieri longobardi è molto inferiore a quanto si potrebbe pensare).

La prima volta abbiamo provato con una birra artigianale friulana chiamata Nardons di La birra di meni, una doppio malto ambrata, 8%, non pastorizzata, aromatizzata con luppolo, miele di castagno, alloro e ginepro. Nutrivamo grandi aspettative, ma un po' per l'eccessivo tempo di infusione, un po' per l'eccessiva luppolatura il risultato è stato imbevibile.
Molto meglio è andata con le belghe semiartigianali: eccellente il risultato con l'ambrata Kwak, ottimo anche con la rossa Sint Bernardus Tripel; nella stessa giornata, la stessa miscela usata per la St. 
Bernardus non ha dato un buon risultato con l'ambrata artigianale, non pastorizzata italiana dei Mastri Birrai Umbri. Senza poter generalizzare, sembra che tutte le birre italiane, anche le migliori o le più particolari, siano troppo amare per un buon braggot.
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In letteratura abbiamo trovato pochi studi sulla birra. Un sentito ringraziamento va Gian Paolo Camurri e alla sezione di Slow Food di Corridionia (MC) che hanno messo a disposizione di tutti questa bella tesi di laurea: Camurri oltre a fornire un interessante compendio sulla storia del consumo e della diffusione della birra, ha competenze anche come cultore della bevanda e questo si è rivelato di utilità pratica per questo post e anche per il nostro corso.








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