Paese di Beltade e Fortezza
qu’uns rais de lor biauté issoit, don li paleis resplandissoit tot autresi con li solauz reluist au main clers et vermauz. |
Pulchredo e
Fortitudo, Beltade e Fortezza, non sono mai in opposizione nel Medioevo,
tantomeno sono, come potremmo pensare oggi, attributi prevalentemente maschili
o femminili.
Gli uomini del Medioevo
pensavano che l’essenza del divino si potesse cogliere solo attraverso la bellezza, sia essa naturale o
artificiale. Se è vero che gli artisti non godevano di grande considerazione, tanto
che anche i più grandi come Giotto o Wiligelmo erano ritenuti fondamentalmente
dei tecnici, non dei creatori (attributo questo che appartiene solo a Dio), in
realtà ogni cosa bella era considerata ornatus
mundi, ornamento del mondo: “le stelle in cielo, gli uccelli nell’aria, i
pesci nell’acqua e gli uomini sulla terra” e con essi le opere del loro ingegno.
La fortezza è l’opposto della forza bruta,
non è mai superbia e mancanza di misura; la fortezza è la virtù cardinale della costanza, è la
capacità di resistere alle avversità senza scoraggiarsi, di ricercare il bene e
il perfezionamento fisico e spirituale.
Di questo
binomio abbiamo esperienza ogni volta che posiamo gli occhi sui solidi muri
delle chiese e dei castelli, sempre decorati da sculture policrome, da arazzi o
da pitture: la bellezza accompagna sempre la fortezza. Allo stesso modo, se
leggiamo le imprese di cavalieri e santi raccolte sui codici miniati o ritratte
nella magia colorata delle vetrate, vediamo che Fortezza implica
necessariamente la Beltade.
La verità è che
il Medio Evo non concepiva una bellezza separata dalla visione religiosa della
vita, non sapeva pensare a una bellezza maledetta, ispirata da Satana: se il Bello
è un valore, allora deve coincidere con il Buono.
Nascono da
questa equivalenza sia l’archetipo stilnovista della donna-angelo, colei che attraverso
la bellezza è soprattutto di portatrice di Salvezza e dispensatrice di Grazia, sia
le impavide eroine e gli affascinanti cavalieri dei poemi più popolari, come la
coppia Cligès e Fenice raccontata da Chrétien de Troyes:
Un poco si era il giorno
coperto
ma tanto belli erano entrambi
la fanciulla e Cligès, che da loro
un raggio della loro bellezza scaturiva
di cui il palazzo risplendeva
come il sole riluce al mattino
chiaro, brillante e vermiglio
ma tanto belli erano entrambi
la fanciulla e Cligès, che da loro
un raggio della loro bellezza scaturiva
di cui il palazzo risplendeva
come il sole riluce al mattino
chiaro, brillante e vermiglio
Scriveva di
Guglielmo di Conches, che è il vero autore di queste riflessioni, che noi attraverso
la rappresentazione artistica apprendiamo la capacità vedere e di capire ciò
che è assente. Sarà così anche per noi.
Nelle notti del
borgo, immersi nella rievocazione del passato, circondati dalla bellezza degli
stendardi, dall’armonia delle musiche antiche e ispirati dalle arti sceniche, come uomini del
Medioevo, vivremo lo stesso passaggio dai sensi all'intelletto e
dall'intelletto ai sensi. Impareremo divertendoci, come da ventisette anni ci
consiglia il motto delle feste: Ludendo intelligo.
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